Quando ho visto per la prima volta il monte Valestra, è stato come un colpo di fulmine.
Mi ero portato sulle pendici del M. Maestà Bianca per proseguire in direzione Roteglia (RE) attraverso una lunga dorsale che circonda una grande cava d’argilla (frequenti in questa zona), utilizzata dalle industrie ceramiche della valle del fiume Secchia all’imbocco della pianura.
I rilievi di questa prima fascia collinare, alle porte della provincia di Modena, sono molto modesti ma è proseguendo verso il crinale dell’appennino Tosco-Emiliano che si raggiungono le più alte vette di questa parte dell’Emilia.
La prospettiva, tanto cara a Brunelleschi, finisce per ingannare quelli che sono i miei piani focali. Il Monte Valestra risulta essere il più imponente tra tutti i massicci circostanti.
Lo possiamo identificare come rupe oppure come una specie di calotta, a seconda di dove lo si guarda.
Il massiccio è interamente boschivo. Rocciose pareti vertiginose vengono alla luce dal versante orientale mentre il versante occidentale degrada fino all’incontro delle colline circostanti.
L’itinerario inizia dal borgo di Valestra (687m s.l.m.), direttamente sottostante la spettacolare parete orientale dell’omonimo monte.
Seguendo il sentiero CAI 618 si risale la strada asfaltata che fiancheggia la chiesa parrocchiale e si raggiunge in breve il margine del fitto bosco ceduo che si stende sulle pendici orientali del Monte Valestra. Il sentiero prosegue inoltrandosi ripidamente nel bosco.
Non è la quantità di specie arboree/arbustive a rendere particolare la zona di Carpineti, bensì la rarità: la roverelle, particolare tipo di quercia che non perde completamente tutte le foglie, il carpino bianco e nero, il ginepro dal quale si ricava un liquore facendo macerare bacche e rametti in alcool puro, i castagni e alcuni esemplari di pino silvestre insediatosi durante il periodo storico delle glaciazioni, la sua presenza nell’appennino sta scomparendo a causa del cambiamento climatico, trova ancora i suoi spazi in alcune porzione della valle del Tresinaro.
Se amate esplorare e allargare i vostri confini nel mondo sotterraneo siete nel posto giusto, diverse grotte aspettano solo di essere visitate. Oltre il varco d’ingresso la nostra veste di esploratori cede il passo a quella di speleologi.
Lo spazio d’aria si fa più ristretto e l’ambiente si rende inospitale già dai primi passi oltre l’antro.
Quello che conoscevamo prima cessa d’esistere, niente più colori d’autunno, nessun movimento d’aria, niente rumori, solo il suono delle nostre pesta ad interrompere il silenzio.
Mi sento come un uccello in gabbia, non ho più libertà di movimento e la mia alta statura inizia a farsi sentire come handicap.
Ho una voglia matta di portarmi sempre oltre l’ostacolo ma… ho dimenticato a casa la torcia frontale. Bravo furbo! Nella penombra posso solo vedere quello che sembra l’accesso alla sala successiva.
Quando ci si cala in questi mondi “paralleli”, è come se dovessi fare attenzione a non ferire l’intimità che dalle viscere della terra viene in superficie, come se questi cunicoli fossero creati appositamente dal pianeta per farci vedere che fine fanno le nostre cattive azioni, e alla fine del tunnel trovare un luogo devastato dal dolore.
Questa in particolare è la grotta del “buco del Diavolo”. Il portale d’ingresso, piuttosto incassato nel terreno, continua con pareti che terminano al cospetto dell’antico edificio squadrato in pietra: l’oratorio di S. Maria Maddalena.
Non sono riuscito a trovare le altre due grotte segnalate nella cartina escursionistica. In loco nessuna indicazione di grotta Malavolti e grotta Stalattiti, perché queste non sono esattamente lungo il percorso, non distano molto dalla svolta in cui il sentiero 618 incontra il 618 A discendendo verso il borgo di Valestra.
Le indicazioni parlano di incrociare sulla sinistra, poco dopo il colle, una pista seminascosta dalla vegetazione che conduce ad uno spazioso pianoro.
Lasciata la cima (935m s.l.m.) e l’oratorio di S. Maria Maddalena alle nostre spalle, si giunge all’oratorio S. Michele.
Il crinale, su cui siamo, fa da spartiacque tra la valle del Secchia a sinistra e la valle del Tresinaro a destra. Questo lembo di terra domina sulle colline circostanti regalando incredibili scorci paesaggistici.
Dai resti della Pieve di San Vitale, fatta risalire al periodo bizantino, ci si circonda nuovamente di vegetazione proseguendo sul sentiero Dorato (porzione del più ampio SSP, sentiero Spallanzani).
Se foste passati sul sentiero Dorato o sentiero Mandra in epoche passate, sareste stati scambiati senz’altro per pellegrini che accedono alla pieve. Io oggi non mi sento molto diverso da loro, non ci sarebbe niente di strano. È sufficiente la vista del Castello delle Carpinete, dove la vegetazione si assottiglia e la vista corre lontana, per catapultarsi profondamente in quel mondo, tralasciando il fatto che indosso un abito caldo e non una veste corta, cappello per sole o pioggia e borselli di cuoio.
Non mi sono ancora abituato al mio nuovo aspetto da pellegrino che già devo fare i conti con qualche scherzo della natura. Sembra un percorso tematico quello in cui sculture via via sempre più sofisticate nascono dal suolo, si affollano ai miei piedi, poi si accingono ai fianchi fino a sovrastarmi in altezza.
Ogni forma evoca somiglianze, potrebbe esserci la mano di qualche artistone che, con la scusa di innalzare l’arte a livelli più alti, tenta di stupire. Nessuno presidia l’area e per di più i cumuli hanno consistenze ben diverse.
A tempestare il suolo ci pensano i Mammelloni, grandi e piccole formazioni rocciose che si sono formate a partire da 20 milioni di anni fa.
Il terreno argilloso, a causa degli stravolgimenti tettonici nel corso dei millenni, ha portato alla luce questi ammassi di roccia arenaria che, in balia degli agenti atmosferici, hanno la forma che vediamo oggi.
Basta un briciolo di fantasia per rendersi conto che alcune formazioni rocciose sono animate. In questa a lato intravedo l’onda perfetta per il surfista che aspetta solo il momento giusto per entrare a cavalcare l’onda prima di vederla infrangersi sugli scogli.
L’altra in mezzo al sentiero assomiglia ad uno specchio d’acqua bollente, quella dietro l’angolo ad una postazione difensiva con pinnacoli.
Il castello delle Carpinete è situato sulla vetta del monte Antognano (805 m s.l.m.) dal quale domina le vallate del Tresinaro e del Secchia.
Spingendosi ad osservare oltre la valle del Secchia, nelle limpide giornate di primavera, si nota la cresta appenninica con il monte Cimone, il Cusna e il Prampa.
La costruzione del primo fortilizio difensivo, di quello che oggi è il Castello delle Carpinete, viene fatta risalire dagli storici al X secolo per opera di Atto Adalberto, intraprendente avo di Matilde di Canossa. In seguito all’espansione dei possedimenti dei Canossa il castello venne a collocarsi al centro delle loro terre e, assieme ad altri fortilizi del reggiano, era parte del sistema di protezione di un vastissimo territorio.
L’ingresso al castello è situato nel lato sud dove si trovava anche in epoca medioevale, attraverso di esso si accede al cortile interno. Il recinto fortificato racchiudeva magazzini, orti, case e stalle, nonché diversi edifici disposti irregolarmente in conseguenza delle modifiche edilizie che apportarono i vari signori che presero possesso del castello in epoche diverse. Le edificazioni erano costituite da abitazioni d’artigiani e contadini, una cappella, il palatium, residenza del signore, e i magazzini.
Una seconda cinta muraria serviva per la protezione interna delle riserve d’acqua e della torre del mastio, estrema difesa per resistere ad attacchi nell’attesa di rinforzi. La torre del mastio è molto ben conservata anche se non sono più presenti i quattro piani interni.
Il rientro è sul sentiero del Mandra (porzione del più ampio SSP, sentiero Spallanzani), 618, 618A per terminare al borgo di Valestra.
Informazioni utili/dettagli:
- BUCO DEL DIAVOLO: Cavità tettonica; Località S.M. Maddalena (Carpineti); Quota: 920; Sviluppo: 120; Dislivello: -14m.
- GROTTA DELLE STALATTITI Cavità tettonica; Località S. Michele di vall. (Carpineti) Quota: 793; Sviluppo: 82; Dislivello: -20m.
- GROTTA FERNANDO MALAVOLTI Cavità tettonica; Località S. Michele di Vall. (Carpineti) Quota: 798; Sviluppo: 205; Dislivello: -80m.
Carta escursionistica dell’Appennino Reggiano n°2 (media collina) scala 1: 25’000.
Reticolo Chilometrico: 4.923.000 Nord – 622 a 626 Est
Grazie per le tue informazioni. Magiche come sempre! Ciao magico!
Hey hey, grazie Gianluc!! 😉